Questa casa è magnifica - L'Osservatore Romano (2024)

Fuori, sul balconcino che guarda i palazzoni del quartiere Tuscolano alla periferia sud di Roma, spiccano alcuni vasi di ciclamini e la bandiera della pace. Dentro l’appartamento, 140 metri quadri al sesto piano di un condominio come tanti, ti accoglie un trionfo di luce, colori, quadri, murales, foto, citazioni: “Qui Cristo è adorato e sfamato” è scritto sulla parete accanto a un crocifisso, e poi “Per favore non lasciatevi rubare la speranza” (Papa Francesco), “Pensa al bello che c’è ancora in te e attorno a te e sii felice” (Anna Frank), “Dio è la speranza del forte e non la scusa del vile” (Plutarco), “Anche il viaggio più lungo inizia con il primo passo” (proverbio cinese). Benvenuti in Casa Magnificat!

Una comunità di donne consacrate e laiche, per lo più migranti, spesso con figli piccoli, che avviano insieme nuovi cammini.

L’ha fondata suor Rita Giaretta, la Orsolina che nel 1995 a Caserta, insieme ad altre consorelle, aveva dato vita a Casa Rut, avamposto di speranza meritevole di aver tolto dalla strada centinaia di donne e bambine vittime della tratta e di abusi di ogni genere: nigeriane, moldave, romene, albanesi, sudamericane che erano state costrette a vendersi dai criminali o a sottostare alle violenze domestiche ma che oggi, grazie anche alla cooperativa sociale New Hope, si sono reinserite nella società trovando un lavoro, recuperando la dignità e immaginando finalmente un futuro. Insieme con la consorella suor Assunta, tre anni e mezzo fa suor Rita si è spostata a Roma per portare avanti la sua missione. «Quando a Caserta la cooperativa ha iniziato a camminare con le proprie gambe, ho capito che era giunto il tempo delle “consegne”, e allo stesso tempo sentivo vivo il desiderio di rimettermi in cammino per una nuova ‘sfida’ missionaria», racconta la religiosa con suor Assunta davanti a un caffè e a un piatto di frappe appena sfornato nella cucina di Casa Magnificat dominata da un lungo tavolo che parla di quotidiana ospitalità. «E così, provocata e ispirata dalle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti di Papa Francesco», e suor Rita ci tiene a precisare sorelle e fratelli tutti, «mi sono sentita chiamata direttamente in causa come religiosa, a dare carne, nel piccolo, a un nuovo sogno di fraternità e amicizia sociale che non si limiti alle parole».

Amicizia sociale è un concetto che torna continuamente nelle parole della suora di origine veneta che prima di prendere i voti è stata infermiera, sindacalista della Cisl e nel 2007 ha ricevuto dal presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano le insegne di Ufficiale all’Ordine del Merito della Repubblica per il suo impegno a favore della collettività. «Amicizia sociale significa accompagnare l’altro nel suo percorso di reinserimento esprimendo una fraternità che comporta sempre uno scambio. Ha ragione Papa Francesco nel ricordare che la nostra società vince quando ogni persona, ogni gruppo sociale si sente veramente a casa. E noi, come Orsoline, siamo sempre dalla parte delle donne. Aiutandole a liberarsi dalla schiavitù, restituiamo loro il “potere” di ripensarsi e di agire da donne libere».

Le dimensioni della tratta, definita dal Pontefice «un crimine contro l’umanità”, sono agghiaccianti: secondo i dati relativi a 141 Paesi e aggiornati al 2022 dall’Unodoc, l’ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, il 42 per cento delle vittime sono donne e il 18 per cento ragazzine. E negli ultimi 15 anni il numero delle minorenni è triplicato. Di schiave bambine ne ha salvate tante, suor Rita, soprattutto a Caserta: «Avevano 15, 16 anni ed erano state costrette a prostituirsi in strada», racconta. «Ricordo ancora con commozione Hasie, una ragazzina albanese di 16 anni che ho aiutato a riavere il bambino che le era stato tolto. Avevo capito che aveva un figlio da come stringeva un peluche».

Ma oggi la realtà è cambiata, durante e dopo la pandemia la prostituzione forzata è passata sempre più dalla strada alle case, rendendo sempre più invisibili le vittime e sempre più difficile aiutarle.

Quando visitiamo Casa Magnificat sono appena usciti gli attuali ospiti, mamma Josephine, 38 anni, e suo figlio Michel di 6 anni originari del Burkina Faso: lei, liberata dalle violenze del marito, è andata a seguire i corsi per la licenza media e il bambino sta a scuola. Ma in questo appartamento luminoso e ordinato dove le porte restano aperte, si mangia e si prega insieme, tutto parla della loro presenza: i libri e i giochi del piccolo in una delle camere da letto, le pietanze tipiche africane che attendono nel forno. «Qui la parola d’ordine è condivisione», spiega suor Assunta. Alcune volontarie affiancano le donne nell’apprendimento dell’italiano e nel disbrigo di cose pratiche, un paio di scout aiutano bambine e bambini nei compiti. Ma chi mantiene questa realtà di salvezza e accoglienza, chi paga le spese? «Un po’ le nostre piccole pensioni, ma soprattutto la Provvidenza», risponde suor Rita. E la Provvidenza, si è messa in moto fin dall’inizio permettendo all’appartamento, segnato da una tragedia, di rinascere: dopo il suicidio della figlia che si era lanciata dal balcone, la vecchia proprietaria decise infatti di donarlo alla parrocchia San Gabriele dell’Addolorata che a sua volta lo ha dato in comodato d’uso gratuito alle Suore Orsoline, nella persona di suor Rita. «Abbiamo riscattato questo luogo da un grande dolore», racconta la religiosa, consapevole fin da subito di intraprendere «una sfida». E ancora una volta è entrata in gioco la Provvidenza: servivano parecchi soldi per la ristrutturazione e per arredarlo e prima una benefattrice di Formia, poi altre persone che conoscevano suor Rita e la sua missione si sono impegnate in una gara di solidarietà e hanno messo insieme la somma. I loro nomi sono scritti nel grande albero disegnato da una giovane boliviana sul muro adiacente l’entrata dell’appartamento.

In poco più di tre anni Casa Magnificat ha accolto una ventina di donne provenienti da Africa, Romania, Perù, Cuba, Afganistan, e anche italiane. Alcune liberate dalla tratta e altre, come una madre e una figlia nigeriane, sfuggite agli abusi del capofamiglia. «Ma cerchiamo di aiutare anche le abitanti di questo quartiere che nasconde non poche situazioni di violenza domestica», dice suor Rita. È la rete esterna, cioè il tam tam della gente e a volte i centri antiviolenza o i servizi sociali, a segnalare a suor Rita le donne bisognose di aiuto. Come una signora sessantenne picchiata dal marito, mentre una ragazza romena, destinata a un matrimonio forzato, è stata accolta e iscritta a una scuola triennale per estetiste con il sostegno di una benefattrice. Casa Magnificat ha poi dato riparo a una donna del Congo con due bambine gemelle aiutando le piccole, senza documenti, «a uscire dall’invisibilità». «Se non sostieni le mamme», ragiona Suor Rita, «i problemi ricadranno sulle loro figlie, esponendole al rischio di finire a loro volta vittime di sfruttamento. Ma i percorsi di vera liberazione, possono essere a volte molto lunghi e noi abbiamo la pazienza e la gioia di accompagnare le donne per anni, anche quando sono in autonomia. Le aiutiamo a non sentirsi degli scarti della società, ci battiamo per far avere loro i documenti, per farle studiare, per dare loro una formazione professionale. La cultura è lo strumento fondamentale per il loro cammino di liberazione e umanizzazione. Solo così, da donne in piedi, possono diventare loro stesse protagoniste del loro futuro e delle cittadine attive. L’unico protocollo applicato qui dentro è “impastare insieme umanità”».

A Casa Magnificat è venuta da Caserta «a fare fraternità» e a sostenere l’attività di sensibilizzazione nelle scuole e tra i giovani, Joy, la ragazza nigeriana che, sbarcata in Italia a 23 anni su un barcone con il miraggio di un lavoro, è stata scaraventata a prostituirsi sulla strada di Castel Volturno (Caserta) dai suoi aguzzini sotto il peso del debito contratto con la madam e con il ricatto del woodo. Sostenuta nel suo percorso di liberazione da Casa Rut, ha raccontato la sua storia nel libro di Mariapia Bonanate Io sono Joy (San Paolo) con prefazione di Papa Francesco che scrive: «La testimonianza di Joy è patrimonio dell’umanità». Sorride suor Rita: «Joy, che ha oggi 31 anni, ha studiato e si è diplomata. Ora qui a Roma dopo l’anno di Servizio Civile e il corso per Operatore socio sanitario ha trovato lavoro presso una Cooperativa socio sanitaria e sta per sposare un ragazzo italiano. Con lacrime di gioia ha chiesto a me di accompagnarla all’altare».

di Gloria Satta

#sistersproject

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